Il varo della FPSO Kufuor in Ghana
La complessità di questa nave è legata al doppio binario di produzione e trattamento di idrocarburi.
Potrà trattare allo stesso tempo l’olio e il gas, che saranno da due giacimenti vicini ma diversi,
separando il gas associato dal petrolio, ed eliminando ogni traccia di liquidi dal gas.
A bordo avverranno solo trattamenti fisici – cambiamenti di stato, pressione, temperatura –
per assicurare che sia il petrolio ed il gas siano trasportabili: il petrolio poi verrà scaricato
su shuttle tankers, mentre il gas verrà esportato grazie ad un gasdotto sottomarino di 70km.
Dall’impianto onshore di Sanzule, nella Western Region del Ghana, il gas verrà immesso in rete
ed aumenterà in misura considerevole la disponibilità. “Per questo la Banca Mondiale ha
ed aumenterà in misura considerevole la disponibilità. “Per questo la Banca Mondiale ha
definito il progetto top priority” spiega Umberto Carrara, EVP per l’Africa Sub-Sahariana di
Eni. “La certezza di forniture di gas a lungo termine permetterà al Ghana di alimentare
centrali termoelettriche che a loro volta ne accelereranno lo sviluppo industriale”. Una
produzione più stabile di energia elettrica che significa standard di vita migliori per la
popolazione e maggiori opportunità di crescita e sviluppo.
“Proprio due anni fa ero in Ghana per firmare il contratto di questa FPSO” ricorda Eirik Barclay,
CEO di Yinson. “Quel giorno abbiamo promesso che avremmo completato i lavori di questa enorme
FPSO in 24 mesi. Forse nemmeno noi pensavamo davvero di farcela in un tempo così breve.”
Per realizzarla, Eni ed i partner hanno seguito una strategia esecutiva particolare: “il refurbishment
e i lavori strutturali sullo scafo, che sono attività labour-intensive, sono stati fatti in Cina” ci spiega
Domenico Mezzina, FPSO work package manager di Eni. “Parallelamente abbiamo realizzato i
moduli topside, cioè la parte nuova di impiantistica, in Vietnam e in Indonesia, e le strutture esterne
di protezione in Ghana. Oltre a questo abbiamo turbine e compressori dall’Italia, catene di ormeggio
dalla Norvegia, impianti di reiniezione dall’Inghilterra, altri materiali dalla Corea… Qui nei cantieri
navali di Keppel a Singapore abbiamo integrato i diversi moduli e installato i tubi e i cavi di
interconnessione.”
interconnessione.”
La scelta di lavorare in parallelo e non in sequenza comporta dei rischi: “è come una catena: puoi scegliere di
avere tanti anelli su cui suddividere il lavoro, ottimizzando costi e tempi, ma così aumentano anche le incognite.
Oppure puoi avere un unico anello, forse più semplice da controllare ma anche più a rischio sovraccarico”. La
parte più delicata, infatti, è stata quella dell’integrazione, e qui le capacità manageriali, oltre che tecniche, sono
state fondamentali.
avere tanti anelli su cui suddividere il lavoro, ottimizzando costi e tempi, ma così aumentano anche le incognite.
Oppure puoi avere un unico anello, forse più semplice da controllare ma anche più a rischio sovraccarico”. La
parte più delicata, infatti, è stata quella dell’integrazione, e qui le capacità manageriali, oltre che tecniche, sono
state fondamentali.
Non solo la FPSO è stata completata in tempo: è stata realizzata in piena sicurezza: “ci sono voluti più di 17 milioni
di ore-uomo per completare il progetto, e non c’è stato nemmeno un incidente sul lavoro di rilievo” sottolinea ancora
Barclay. Un altro motivo di orgoglio se si pensa che un cantiere di queste dimensioni occupa migliaia di persone:
“Ad agosto abbiamo raggiunto un picco di 3200 persone a bordo” ricorda Domenico, “e tutto il sudest asiatico, India,
Bangladesh, Cambogia, Tailandia, Indonesia, Malesia, Filippine, era rappresentato nel cantiere” racconta Domenico
Per non parlare dello staff Eni: Kazakhstan, Venezuela, Egitto, Sudafrica, Irlanda, India, Filippine, Malesia. E ancora
i malesi di Yinson, gli svizzeri e gli olandesi di Vitol, e i ghanesi della GNPC.
di ore-uomo per completare il progetto, e non c’è stato nemmeno un incidente sul lavoro di rilievo” sottolinea ancora
Barclay. Un altro motivo di orgoglio se si pensa che un cantiere di queste dimensioni occupa migliaia di persone:
“Ad agosto abbiamo raggiunto un picco di 3200 persone a bordo” ricorda Domenico, “e tutto il sudest asiatico, India,
Bangladesh, Cambogia, Tailandia, Indonesia, Malesia, Filippine, era rappresentato nel cantiere” racconta Domenico
Per non parlare dello staff Eni: Kazakhstan, Venezuela, Egitto, Sudafrica, Irlanda, India, Filippine, Malesia. E ancora
i malesi di Yinson, gli svizzeri e gli olandesi di Vitol, e i ghanesi della GNPC.
Da Singapore la FPSO Kufuor “andrà a casa”, per usare le parole di Umberto Carrara. Una casa in mezzo al mare,
dove rimarrà per i prossimi 15, forse 20 anni.
dove rimarrà per i prossimi 15, forse 20 anni.
“Prima di partire per il Ghana dobbiamo fare i test in mare aperto, in anchorage, per collaudare quei sistemi che
devono avere determinate condizioni di pescaggio: i sistemi antiincendio, i sistemi ballast, di produzione di acqua
potabile, ed il sea trial, in cui si fanno prove di velocità, di arresto e di prova di tenuta a mare” continua Domenico.
“Ci vorranno un paio di settimane. Poi si fa il pieno e si parte”.
devono avere determinate condizioni di pescaggio: i sistemi antiincendio, i sistemi ballast, di produzione di acqua
potabile, ed il sea trial, in cui si fanno prove di velocità, di arresto e di prova di tenuta a mare” continua Domenico.
“Ci vorranno un paio di settimane. Poi si fa il pieno e si parte”.
Un pieno di tutto rispetto: 7.000 metri cubi di gasolio, che dovrebbero bastare per i circa 45
giorni di navigazione da Singapore al Ghana. Si farà comunque tappa in Namibia, dopo circa
un mese di navigazione, per una crew change e eventuali rifornimenti. “Abbiamo un tratto a
rischio di pirateria, all’uscita dello stretto di Malacca, dove la nave sarà scortata da rimorchiatori.
Poi attraverseremo l’oceano indiano, al largo del Madagascar per evitare la costa somala, anche
questa a rischio pirateria. Un altro punto critico, stavolta a causa delle correnti, è il Capo di Buona
Speranza: c’è rischio di stand-by, si devono aspettare le condizioni favorevoli”, racconta ancora
Domenico. All’arrivo in Ghana inizieranno le fasi di installazione della FPSO: ormeggio, installazione
dei riser e degli ombelicali preinstallati che collegheranno la FPSO ai pozzi sottomarini, e test di
comunicazione con i sistemi sottomarini, test di apertura e chiusura delle valvole, per poter poi
mettere in attività il pozzo.
A quel punto passa tutto ai colleghi di operations, che iniziano a produrre: “Nell’upstream c’è una
definizione molto chiara: la prima goccia di idrocarburo rappresenta il momento in cui il timone passa
dal team che cura la realizzazione del progetto al team che ne gestirà l’operatività. Loro sanno come
gestire un pozzo e la responsabilità passa a loro”. Un passaggio tecnico che ha anche risvolti emotivi:
“Ci hai passato tanto tempo, hai conosciuto e lavorato fianco a fianco con tante persone, in certi casi
ci hai anche vissuto… Alla fine la FPSO la senti un po’ tua. Ti rimane l’orgoglio di aver fatto qualcosa
di fatto bene, qualcosa di grande”. Come il gigante gentile.
read original Eniday letter by Marilia Cioni
definizione molto chiara: la prima goccia di idrocarburo rappresenta il momento in cui il timone passa
dal team che cura la realizzazione del progetto al team che ne gestirà l’operatività. Loro sanno come
gestire un pozzo e la responsabilità passa a loro”. Un passaggio tecnico che ha anche risvolti emotivi:
“Ci hai passato tanto tempo, hai conosciuto e lavorato fianco a fianco con tante persone, in certi casi
ci hai anche vissuto… Alla fine la FPSO la senti un po’ tua. Ti rimane l’orgoglio di aver fatto qualcosa
di fatto bene, qualcosa di grande”. Come il gigante gentile.
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